La caccia e il rito.
Cosa è rimasto degli antichi riti di caccia?
Ho deciso di scrivere questo articolo perché in questi giorni, dopo la riapertura della stagione venatoria, si ritorna a parlare del senso di questa pratica. In molti si domandano perché la gente continui ad andare nei boschi a sparare ad animali per divertimento.
Amo ricercare soprattutto tra le abitudini dei nostri antichi antenati per capire meglio la Natura e anche il rapporto tra uomo e sacro. E così ho raccolto alcune informazioni per trattare il tema della caccia dalla sua nascita, fino ad oggi e capirne il senso.
La premessa doverosa è che non sono una giornalista e non sono tenuta ad essere obiettiva per cui lo scrivo subito: io sono contraria alla caccia senza se e senza ma. Le mie opinioni però le scriverò in fondo all’articolo. Ora cominciamo a viaggiare nel tempo!
ALIMENTAZIONE PRIMITIVA UMANA
Sappiamo che i nostri antenati erano onnivori. Una scoperta recente in Israele ha permesso agli archeologi di reperire resti di cibo fossile di origine animale e vegetale.
Una conferma se pur non apertamente condivisa da tutti gli studiosi è che la natura onnivora dell’uomo troverebbe riscontro nelle similitudini di denti e stomaco del maiale, appunto onnivoro anch’esso. Ma c’è di più: anche nell’orso possiamo osservare molte abitudini simili alle nostre. L’alimentazione umana delle origini infatti prevedeva il cibarsi di ciò che veniva trovato, ovvero: frutta, insetti, larve, vegetali e carcasse, nonché la carne dei suoi stessi simili, proprio come il nostro amico orso, venerato nel Paleolitico, e a cui sono state dedicate grotte e riti proprio come se fosse una divinità. Chissà se l’uomo non abbia imparato proprio da questo gigante a nutrirsi!
Certo è che l’uomo primitivo del Paleolitico aveva bisogno di molto nutrimento data la sua natura nomade: si spostava in cerca di terre più abbondanti in base alle stagioni e il dispendio energetico dei viaggi era davvero notevole. In questo contesto nasce anche la pratica della conservazione dei cibi per essere sicuri di avere di che mangiare durante le trasferte, ma questo non garantiva la sopravvivenza di tutta la tribù ma solo dei più forti e “utili”.
LA NASCITA DELLE TRIBU E DEI RITUALI DI CACCIA
Man mano che l’uomo proseguiva nell’evoluzione e comprese che aggregarsi era un atto utile alla sopravvivenza ( o forse non lo comprese, fu solo l’istinto a guidarlo) nacquero le tribù, dove ognuno aveva un ruolo e lavorava per il gruppo. Molti uomini si ritrovarono a dividere il cibo che probabilmente non era sufficiente per tutti e iniziarono a cercare delle prede vive di piccola taglia catturandole con le trappole. Molti degli utensili di pietra servivano a pulire le ossa dalla carne e probabilmente vedendo gli effetti laceranti delle punte, i nostri antenati diedero vita alle prime frecce o lance per poter prendere le loro prede stando a distanza e ciò permise di mirare ad animali anche più grossi, uno dei quali fu proprio l’orso.
Ed è qui che inizia la storia della caccia. Il contesto era quello di un umanità che si sentiva parte della Natura, intimorita dai temporali e dal cambiare della Luna, ne osservava però gli effetti e considerava ogni cosa come una divinità, e ogni processo era onorato con dei rituali, ad esempio la vita e la morte. Fu così che prima di partire per una battuta di caccia, gli uomini prendevano le sembianze della preda indossando le sue pelli, creando statuette o disegnando sulle pareti delle grotte la sua sagoma in suo onore.
Secondo le credenze antiche la caccia andava a buon fine solo perché era l’animale a donarsi e questo meritava profondo rispetto e un grande onore per l’anima proprio attraverso il rito che precedeva la caccia. Non c’era umiliazione né per l’anima, né per il corpo della preda che veniva richiamato alla vita con questi riti.
Cacciare significava mettersi alla pari della preda per poter sopravvivere grazie alla sua carne, scendere in campo armati di lance e frecce senza la certezza di uscirne vincitori. L’animale infatti era in grado di muoversi libero e di difendersi con tutta la sua forza. Cacciare era un atto sacro, dove la morte aiuta il proseguire della vita e dove l’uomo è tutt’uno con la sua preda, la rispetta e la ringrazia, e soprattutto la onora utilizzando ogni sua parte dopo la morte e venivano cacciati solo gli esemplari necessari alla sopravvivenza della tribù. Raccogliere e usare le ossa e le pelli era un modo per ricomporre l’animale e donargli nuova vita. Basti pensare ai primi strumenti musicali: flauti di ossa e tamburi di pelle venivano suonati nei riti per richiamare il potere sciamanico dell’animale che aveva donato i suoi resti.
In questo scenario nasce la struttura sociale. Ebbene sì, l’attività della caccia antica pare che sia alla base della formazione delle strutture sociali moderne. Ognuno nella tribù a questo punto doveva avere un ruolo preciso: c’erano i cacciatori, coloro che creavano le armi, chi si occupava di tenere il fuoco acceso per essiccare e cuocere le carni, chi recuperava i resti, lo sciamano che celebrava i riti e così via. La caccia sacra era un potente strumento di unione, talvolta anche di diverse tribù. In questo caso entrò in gioco anche un altro fattore: esprimere la propria forza uccidendo la preda ovvero riuscire a scaricare tutta l’energia accumulata nei giorni precedenti alla battuta fatti di astinenze e digiuni, in un atto di “sacra follia” proprio come un guerriero in preda al delirio per il bene dei propri compagni.
LA TRASFORMAZIONE DELLA CACCIA DAL NEOLITICO IN POI
Ad un tratto della preistoria però, l’uomo si ferma, diventa seminomade e in seguito anche stanziale con la pratica dell’agricoltura che richiedeva dei mesi per poter vedere i frutti della semina. Capisce che gli animali erbivori possono essere domati e tenuti in recinti in modo da averli sempre disponibili e le attività sacre della caccia si riducono ad eventi particolari quali le riunioni dei clan, l’inizio della stagione fredda per avere di che mangiare durante l’inverno, o semplicemente come rito di passaggio all’età adulta.
Ciò che prima veniva espresso attraverso la caccia, con il neolitico ed oltre, veniva espresso con l’uso della falce che “decapitava” il grano, o con lo scorrere del vino dopo la fermentazione dell’uva. Manca perciò a quella casta di guerrieri, l’espressione di quella sacra follia che li vedeva bagnarsi con il sangue dell’animale ucciso per onorarlo o rischiare la vita per la propria tribù. Tutto ciò trovò sfogo nelle guerre di conquista di altri territori: combattere contro altri uomini riempiva le lacune lasciate dalla caccia ormai non più utile.
Dal neolitico in poi la caccia sempre di più perse il valore sacro, e mantenne quello legato all’affermazione del proprio valore perché condotta con regole eque, dove la preda era in grado di uccidere il predatore. A Roma e in Grecia, nessun patto era stipulato senza un sacrificio che lo rendesse effettivo, ma come si può notare tale azione non aveva più niente a che vedere con l’onorare rispettosamente una preda. Dopo il neolitico, gli animali diventano strumenti di cui servirsi e non più esseri viventi da trattare con rispetto. Mano a mano che le armi si perfezionarono, la caccia divenne un gioco, un hobby per esibire il proprio stato sociale nella nobiltà fino ad arrivare ai giorni nostri, dove il cacciatore attira la preda con richiami falsi e trappole, e talvolta non aspetta neanche che sia uscita dalla sua tana come nel caso della volpe.
LE MIE RIFLESSIONI
Eccoci giunti alle mie personali riflessioni: che senso ha la caccia? Dopo aver compreso quanto fosse importante per la sopravvivenza, oggi che senso ha? Nel mondo moderno l’uomo non percorre che poche centinaia di metri al giorno potendo scegliere di alimentarsi in modo più rispettoso per gli animali. Per di più chi si nutre di animali non va neanche a caccia ma li acquista già pronti nei supermercati dove arrivano intrisi di dolore e di umiliazione in seguito ad una vita in galera. Dov’è finito il nostro senso del sacro? Perchè non riusciamo più a guardare negli occhi i nostri fratelli e a onorarli come meritano?
La caccia “per divertimento” trovo che sia una degenerazione del nostro istinto naturale alla sopravvivenza. Abbiamo perso il senso del sacro e lo abbiamo sostituito con l’indifferenza perché questo ci tiene lontano dalla sofferenza. Ecco perché continuo a sostenere che la caccia è un’attività che deve essere fermata perché oltre a togliere vite innocenti, alimenta ancora di più l’indifferenza e il sadismo che deriva dall’uccidere sotto i colpi di un arma.
Ma ho un’altra riflessione da scrivere: riconsiderare la caccia dal punto di vista antropologico e quindi con le sue origini appena citate fa rivalutare molto anche molte altre delle nostre abitudini come ad esempio l’acquisto di prodotti creati con pelli di animali selvatici e quindi provenienti dalla loro morte nell’ambito della caccia.
Pariamo in ambito sacro del tamburo sciamanico ad esempio. Al tempo di oggi vengono acquistate le pelli e poi viene confezionato. E le pelli arrivano dalla caccia nella maggioranza dei casi perché essendo un’attività che va di moda, il mercato ha molte richieste di questo tipo di materiali e deve procurarseli. Se prima bastavano le pelli di animali trovati morti in natura e recuperati, ora ne sta nascendo un vero e proprio business. Che sia orso o cervo o di qualsiasi altro animale selvatico, il nostro tamburo che tipo di vibrazioni emetterà?
Un canto Cherokee dice:
Il mio tamburo ha molte voci
Il mio tamburo racconta molte storie
Questo tamburo è pieno di mistero
Questo tamburo è pieno di sogni.
Ascolta il suo battito
Ascolta il suo battito
Ora tu senti il battito degli zoccoli
Ora tu senti il battito delle ali
Tutto è Uno.
Non è che il nostro tamburo, avrà la voce del cacciatore?
E comunque a me il cervo piace così <3
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